Pardo Fornaciari, livornese del ’48, non ha ancora ben chiaro cosa farà da grande: per il momento annovera collaborazioni eterogenee a riviste disparate (tra cui spicca da anni il Vernacoliere, un tempo con le canzoni, poi con gli assennati interventi ecclesiologici de “L’epistola giubilare”, del “Direttorio morale” e delle “Cose di Pardo”).
Produce due quintali l’anno di un vino (il Cantabruna) dalla gradazione indeterminata, ma sufficiente.
Di formazione filosofica, riscuote uno stipendio da professore (ora pensione), col quale finanzia l’invenzione teatrale e musicale alternate alla ricerca sull’incontro tra le culture ebraica e cristiana. Infatti ha pubblicato, tra l’altro, testi di Averroè, Beniamino da Tudela e, per la prima volta in italiano, le “Conclusiones cabalisticae” di Giovanni Pico della Mirandola.
Nel campo della creazione artistica sono andate in scena sue pièces come “Non avevano niente di umano” (sulla psicologia degli ufficiali nazisti), “Direttorio della confession generale” (sul manuale dei Confessori di Sant’Alfonso de’ Liguori) e l’adattamento teatrale de “La sonata a Kreuzer” di Tolstoj, con la musica di Behetoven.
Canta le proprie canzoni in performances varie come “Dal Limpopo al Fosso Reale” (canzoni di ambiente livornese: da ascoltare “Le valve della vulva”, dedicata alla Volvo del Cardinali) e “Il vecchio professore” (Georges Brassens in italiano e/o in vernacolo).