di Mario Cardinali
Ma davvero pensavate che non potesse infine cambiar davvero nulla, in questo nostro spaesato paese dove tanta gente s’è ridotta addirittura a votare i fascisti pur di veder cambiare qualcosa per davvero, foss’anche il solo colore della camicia?
Davvero credevate d’esser condannati al solito immutabile trantran, in questa terra dove alle tradizionali alluvioni succedono ora gli uragani in procinto di diventar tradizionali anch’essi ma si continua imperterriti a cementificare ogni residuo spazio utile alla prosperità d’una speculazione edilizia definita selvaggia ma che di selvaggio ha solo l’istituzionale assalto alla borsa dei semplici cittadini, pari pari come nella speculazione sul carovita e in ogni altra speculazione sulla pubblica credulità dovunque e comunque eccitata da messaggi pubblicitari divenuti mantra idiotizzanti sempre più massivi?
Davvero v’eravate rassegnati agl’interessi d’un capitalismo sempre più irrimediabilmente coinvolgente uomini di politica e di legge, d’industria e di commercio, di cultura e d’intrattenimento, di sport e di giornalismo, di mafie e camarille d’ogni tipo?
Davvero insomma non vi sfiorava la speranza che un giorno da qualche parte qualcosa potesse incominciare a cambiare, a infrangere il muro delle convenienze?
E invece no, quel giorno è arrivato, infine. Tre giorni, anzi. I tre giorni d’un Festival di satira e d’umorismo che han portato a Livorno un po’ di noti nomi di stampa, talkshow e altre pubbliche esibizioni. A Livorno, badate bene, città tradizionalmente nota come terra d’anarchici e di mangiapreti, di dissacratori e d’anticonformisti, di ribelli comunque ad ogni disciplina. Gentaccia irrispettosa d’usi e di convenienze, addirittura lettori d’un giornalaccio come il Vernacoliere, che già basta dirne il nome e vedi più d’uno farsi il segno della croce.
E in questa città definita addirittura capitale della satira da quando vi è esploso proprio questo fogliaccio becero ed osceno, a far bandiera d’uno spirito critico che non porta rispetto a nessuno, e tanto meno ai preti e specialmente se dediti alla pedofilia, proprio qui un prete è arrivato infine a cambiar musica e sistema, invitato a inaugurare i tre giorni della satirica rassegna con una benedizione d’ordine religioso e istituzionale, pur se impartita in collegamento video.
E mica la benedizione d’un pretino qualunque, o al massimo del vescovo locale, che pur pisano ci dicono lettore anch’egli del Vernacoliere, omnia munda mundis come si suol dire.
No no, gli organizzatori del Festival (“Fondazione Livorno” col locale Comune, anche se c’è da dubitare d’un loro diretto coinvolgimento in cotanto evento, degno certo di ben più raffinate e rivoluzionarie menti) hanno affidato la benedizione addirittura a un porporato, nientemeno che il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo metropolita di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana.
Il quale, benedicendo la satira dell’innovativo Festival, ha detto, come leggiamo dalla stampa locale (noi ahimè non c’eravamo alla rispettosa genuflessione): «La satira va bene, a patto che non offenda il buongusto o la religione e le convinzioni di qualcuno» (…)
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