di Mario Cardinali
Un lettore mi scrive:
Caro direttore, anche se non parlo il vernacolo toscano e anche se sono un elettore di destra, sono abbonato da diversi anni al Vernacoliere, perché la vostra satira dissacrante mi ha sempre divertito. Devo dire però che da quando c’è la Meloni al governo, il giornale mi è scaduto parecchio e non mi fa più ridere.
Più che satira le vostre strisce sono diventate lamentazioni rabbiose e livorose contro il governo di destra, che di divertente non han più niente. Anche noiosamente ripetitive, con i soliti triti e ritriti stereotipi fascisti, tipo il manganello, che in realtà è ampiamente usato anche dagli estremisti di sinistra (ogni riferimento alla Salis è puramente voluto).
Forse sarebbe il caso di chiedersi, anche in uno dei suoi editoriali, perché prima gli operai nelle fabbriche ed ora anche gli impiegati della classe media votano la destra, perché il Pd è il primo partito solo più nelle sezioni della Ztl delle città…
Penso che il suo giornale attirerebbe più simpatie e che potrebbe far del bene anche ai politici di sinistra, mettendo alla berlina i loro notevoli errori e difetti con un po’ della vostra satira dissacrante.
Eugenio Testa
Rispondo a lei, signor Testa, per rispondere anche ad altri che vorrebbero via via stimolare il Vernacoliere – e me in particolare – a una “ragionata” equidistanza fra sinistra e destra. Il che, visto da dove viene e verso dove sta marciando questa cosiddetta “destra destra” d’ora, mi pare sia cosa da ben poco ragionarci sopra: questi vengono dal fascismo – li chiamano anche postfascisti non per caso, oppure neofascisti o in altri variegati modi ma pur sempre col fascismo in mezzo – e per molti versi al fascismo appare ben chiaro che vorrebbero tornare, seppure non coi manganelli d’un tempo, ora satireggiati simboli della violenza di pensiero e d’azione a storica base della dittatura nera, ma di certo con mentalità e leggl insofferenti di democrazia, per non dire di civiltà tout court, come ben si ravvisa nei saluti “romani” sempre più esibiti da singoli e da gruppi, e negli assalti squadristi non più solo in strada ma addirittura in parlamento. E con pensieri omofobi e razzisti non solo filmati di nascosto fra i giovani delle nuove leve nazionali ma anche pubblicamente dichiarati e scritti da militari come il general Vannacci.
E se “gli operai nelle fabbriche ed ora anche gli impiegati della classe media votano la destra”, come scrive lei signor Testa, non credo sia perché – come vanno talvolta affermando alcuni cosiddetti esperti di talk show –, dopo essersi ritrovati con le mani al culo con certa cosiddetta sinistra alla Matteo Renzi, vogliono ora provare un po’ la destra.
Ché son prove assai rischiose, con certa destra alla Giorgia Meloni e postfascisti annessi. Ci provarono in tanti , fra operai e classe media, anche ai tempi del “testone”, quel dittatore tanto grottesco nelle sue movenze oratorie quanto tragico nelle sue azioni, quel rifondatore d’italica nazione che fece le leggi razziali e portò l’Italia nella seconda guerra mondiale. E più che una prova fu l’adesione di massa a un pensiero unico, puntellato sulla fine della libertà e sul chiamar comunista chiunque vi s’opponesse, come comincia a risuccedere ora con un revisionismo storico che vorrebbe ridare dignità al fascismo in nome dell’anticomunismo.
E mi viene in proposito da citare un brano esemplare del Bobbio del “De senectute” (Einaudi 1996), il Bobbio già membro del Partito d’Azione cui si rimproverava una mancata equidistanza fra antifascismo e anticomunismo:
“In questi ultimi anni di revisionismo storico mi accade di constatare con amarezza che il rifiuto dell’antifascismo in nome dell’anticomunismo ha finito spesso col condurre a un’altra forma di equidistanza che io considero abominevole: tra fascismo e antifascismo. Questa equidistanza, che risale molto addietro a chi aveva predicato, subito all’inizio della ricostruzione democratica, la necessità di andare al di là del fascismo e dell’antifascismo, preclude alle giovani generazioni di cogliere la differenza tra uno stato di polizia e uno stato di diritto, tra una dittatura anche se meno feroce di quella nazista e una democrazia zoppa come quella della Prima Repubblica (…) e di rendersi conto che il fascismo, la prima dittatura imposta nel cuore d’Europa dopo la prima guerra mondiale, responsabile, se pure sottomessa al suo potente alleato, di aver scatenato la seconda guerra mondiale, terminata in una tragica sconfitta, è stata un’onta nella storia di un paese che era da tempo nel numero delle nazioni civili. Di quest’onta ci libereremo soltanto se riusciremo a renderci conto sino in fondo del prezzo che il paese ha dovuto pagare per la prepotenza impunita di pochi e l’obbedienza, se pure coatta e non sempre ben sopportata, di molti.”
Ecco perché, signor Testa, le nostre non sono lamentazioni rabbiose e livorose contro il governo di destra, come afferma lei, ma considerazioni, satiriche e non, su un governo di destra sicuramente erede del vecchio fascismo ed evidentemente promotore d’un fascismo formalmente nuovo.
Ché poi, vecchio o nuovo, con manganelli o senza, è un modo di pensare e d’agire che al Vernacoliere ci trova tutti contro. Tutti essendo costituzionalmente antifascisti. E se pur ridiamo sogghignanti nel dar di satira comunque, siamo membri seriamente pensosi d’una comunità che vuol restare nella libertà contro tutti i padroni. Civili, militari, religiosi e comunque manovratori di cervelli mercificati dai bisogni.