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Seconda conclusiva parte de “La serietà del culo”

CON RISPETTO PARLANDO, DÉ!


 – di Mario Cardinali


Chiacchierata a puntate su alcune parolacce dell’idioma livornese. Che per parolacce non le tiene, ma per espressioni vivaddio sincere ed anche familiari d’un irriverente spiritaccio popolare poco incline agl’infingimenti quantunque letterari.

SECONDA CONCLUSIVA PARTE DE “LA SERIETÁ DEL CULO”

A conclusione di quanto già pubblicato nella prima parte (l’8 marzo su FB e sul sito www.vernacoliere.com) ecco ora il resto degli usi verbali – basati appunto sul culo – che a Livorno sono linguaggio quotidiano, come già ampiamente spiegato.
***

Avé’ ’r culo sudicio: avere la coscienza sporca, avere qualche colpa da non dire o qualche interesse da celare. Come Renzi quando afferma che Verdini & C. non sono al governo anch’essi.
Da’ ‘r culo (dare il culo, per qualcosa): premesso il concetto di culo come bene massimo e massimamente conservando d’una persona, da’ ‘r culo significa appunto dare il massimo di sé, dare tutto il proprio bene per un qualche motivo. In tutti i sensi. Come tante mamme, che oltre a dare il culo al marito in un senso, lo devono dare anche ai figlioli in un altro.
Da’, volé ‘r culo dentro ‘r foglio / incartato ner foglio: dare, volere il massimo della disponibilità propria o di qualcuno, come sarebbe l’offrire il sedere addirittura incartato a mo’ di regalo. Il concetto, più sarcastico che ironico, si esprime perlopiù in forma di domanda a chi troppo pretenda: vòle anche un po’ di ‘ulo ner foglio?, dice per esempio la contribuente all’agente di Equitalia che dopo aver tastato le sue possibilità economiche vorrebbe tastarle anche qualcos’altro. In ironica variazione, al posto del culo incartato ner foglio ci può essere un po’ di culo co’ pinoli.
Fassi ‘r culo: impegnarsi al massimo, sgobbare come ciuchi. Faticoso impegno cui spesso consegue una sonora disillusione. Mi son fatto ‘r culo tutta la vita per ir Piccì – esclama il vecchio militante comunista – e ora mi ritrovo a dové votà Piddì!
Girà’ ‘r culo: fare dietrofront, andare via (piglià’ ‘r culo e andassene). Alla stregua di Bossi quando gli chiedono se, invece che da un cavolo, suo figlio Renzo è nato da una zucca o pur anche da un cetriolo.
Levà di ‘ulo: levare di torno, eliminare. Ma anche: stupire, levare il fiato dalla bellezza: Quella fia leva di ‘ulo!
Levassi di ‘ulo: togliersi dai piedi, nel significato di quando ad esempio la pulzella si rivolge al maturo ganimede che le ronza intorno: lèvati di ‘ulo, bellino, vai!, o come invito a chi rompe troppo i coglioni: ma ti levi di ‘ulo!
Mèttello / buttallo ‘n culo (a qualcuno): fregare, imbrogliare, approfittarsi di qualcuno, risolvere un problema a danno di qualcuno. Al passivo è pigliallo ‘n culo, tipica situazione dei cittadini senza conoscenze né raccomandazioni.
Mètte’ ‘r culo alla finestra: esporsi senza pudore, mettere in piazza i propri affari privati. Come accade alla moglie che alla finestra urla al marito se rivai a gioà alle macchinette, racconto a tutti che popò di becco sei!
Mèttessi le mani ar culo: prepararsi alla botta, ripararsi da un pericolo. A protezione dell’ultimo bene, sempre quel benamato culo. Come nell’imminenza delle elezioni.
Piglià’ per ir culo: prendere in giro, sfottere.
Restà’ (ritrovassi) colle mani ar culo: non avere ottenuto niente, rimanere senza più niente, fregati, rovinati. Come dopo aver comprato qualcosa a una televendita di Renzi.
Pigliallo ‘n culo: rimanere fregati, restare sconfitti, fare da eterni capri espiatori. Com’è tipica riflessione dei poveracci: mettilo mettilo, chi lo piglia ‘n culo siamo sempre noi!
Sta’ ar culo (di qualcuno): stare appiccicati, tallonare, non dare requie. Anche in invito sportivo, per esempio a un mediano: stanni ar culo a quer centravanti, troncani le gambe!
Sta’ sur culo: essere antipatici, insopportabili. Avete presente la Giovanardi? E Brunetta? Ecco, proprio così.
‘Un sapé’ fa’ un o cor culo: non essere buoni a nulla, come il non saper neanche stampare una “o” col culo, che pure ha il buco tondo. Ma anche in tale condizione c’è chi è riuscito a farsi assumere in Comune. O in Provincia, pure.
E chiudiamo col classico buo di ‘ulo (budiùlo), italiano buco di culo, epiteto largamente usato sia per indicare donna che si concede facilmente, sia per definire un uomo che si comporti in modo poco commendevole. Può anche avere una valenza solo apparentemente offensiva e invece affettuosamente familiare: Vieni, budiùlo! A casa tutti bene?

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