di Mario Cardinali
Sul finire degli anni ’60, quando una mattina – da giovane direttore/editore del settimanale di controinformazione “Livorno Cronaca” che sarebbe poi divenuto il mensile satirico “il Vernacoliere” a partire dall’82 – andai a denunciare d’aver ricevuto un biglietto anonimo di gravi minacce dopo un’inchiesta sulle assegnazioni sospette di case popolari, in Questura mi consigliarono un porto d’armi che però subito rifiutai: metti che in qualche situazione particolarmente grave – spiegai – mi vada il sangue al cervello e mi venga di sparare ammazzando qualcuno, diventerei un assassino.
E a niente valse che un funzionario, che m’aveva conosciuto bimbetto nella botteguccia d’alimentari di mia madre dove i dirimpettai di Questura venivano a comprar panini, mi ricordasse un vecchio adagio della sua professione, secondo il quale “è meglio un cattivo processo che un buon funerale”.
E m’è sempre ritornato a mente, quell’episodio, ogni volta che nelle cronache c’è qualcuno, derubato o rapinato o comunque gravemente minacciato, che reagisce ammazzando all’istante il ladro o il rapinatore o comunque chi ne mette in pericolo la vita, la sua e magari anche quella dei suoi cari, in un “eccesso di reazione”, come talvolta motivano le sentenze, certo non voluto apposta omicidiale.
Ma intanto qualcuno l’hai ammazzato, che tu lo volessi o meno. O che il sangue ti fosse o no andato davvero al cervello, a renderti omicida.
Problemi di coscienza personale, infine.
E poi ci sono i casi come quello di Viareggio, nel quale ti chiedi se abbia una coscienza personale anche quella signora derubata della borsetta che ha rincorso in macchina il ladro, un marocchino già colpevole d’esser tale, oltre che dedito ai furti, e una volta raggiunto l’ha di proposito investito, come testimoniano le telecamere di zona, poi ha fatto marcia indietro e gli è di nuovo salita addosso con le ruote altre tre volte una dopo l’altra, come ad assicurarsi di non lasciare l’opera incompiuta. Al termine della quale è scesa dall’auto, si è ripresa la borsetta, è risalita a bordo e se n’è andata. Come una Vendicatrice dei fumetti.
Ecco, a costei così freddamente determinata il sangue forse non è mai andato al cervello, o sennò chissà, è forse stato un rigurgito d’odio ad andarle alla testa. O magari non è stato nemmeno l’odio, quel sentimento ormai divenuto comune sentire anche politico per i tanti, tantissimi per i quali non è mai stato degno di considerazione un immigrato da morto, e figuriamoci da vivo.
Può invece essere stato, alla fin fine, quanto ha poi spiegato il capo della Lega nonché ministro e vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini in un suo commento all’omicidio di quel ladro di borse marocchino: “Se non fosse stato un delinquente, non sarebbe finito così”.
A lampante differenza della Signora investitrice, invece, benestante imprenditrice com’è del settore balneare, una che viaggia in Mercedes, mica su un Apino verde di macerie, oltretutto incensurata e ben applaudita dopo il quadruplice schiacciamento da tanta gente ormai insofferente anche solo di vederli respirare gl’immigrati.
Una solida rappresentante della buona società che infine è stata messa ai domiciliari, mica dietro le sbarre, in attesa d’una sentenza che, chissà mai, potrebbe anche scusarsi con Lei per averle fatto perdere del tempo.
Così prezioso, invece, per lasciar fare chi fare sa.