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di Mario Cardinali

Nel respiro di mare

Dalla prolusione a un volume di splendide foto di Luigi Angelica su “Livorno consueto e insolito. La costa”, Matithyàh 2009.

La costa livornese. La mia costa. Quella d’Antignano, da ragazzo. Allo scoglio della Nave, lo Scoglione, subito dopo villa Liscia. Quella villa e pochissime altre abitazioni, allora, nei primi anni Cinquanta, quando ad Antignano s’arrivava in bicicletta. Con tanta terra libera dintorno, assolati campi d’erbe fra la collina e il mare. E in mare, sul mare, uno scintillare d’onde sotto il sole, e pesci e ricci e granchi e polpi e gamberi e padelle e tant’altre creature vive e vere, e scogli politi e aguzzi e ghiaia di spiaggia calda sulla pelle ed alghe ad imbrunir la riva, un po’ più giù dove poi ci hanno alzato il Rex, quell’albergo tutto di cemento.

  A quei tempi no, tutto libero e fatto d’aria pura, in terra in cielo e in mare. Né case né alberghi né distributori di benzina né bar né ristoranti né altro di ciò che sempre poi ti cambia i luoghi dell’adolescenza.

  Ma resta il ricordo, di quell’adolescenza allo Scoglione. I tuffi, le nuotate, i giochi, i pesci presi anche con le mani, nelle secche serali della marea calata. E i lunghi languori nei meriggi di sole e di salsedine dopo il bagno, a perder coscienza di sé nel dormiveglia sdraiati sulla ghiaia, a sentirsi e scoglio e mare e cielo come nel Meriggio dannunziano.

  E i primi amori. Anche quelli mai detti, rimasti muti come un grido che non hai gridato. C’era una biondissima fanciulla, occhi celesti ed armonioso corpo di giovanissima sirena, denti di neve e risa come musica di vita. M’incantavo a guardarla. E sussultavo al vederla, a salutarla con un breve emozionato ciao. Innamorato solo. Come succedeva ai quindici–sedici anni, come si conveniva al romanticismo che t’esaltava e t’immalinconiva dentro, a quell’età.

  L’ho rivista tanti, troppi anni dopo, quella biondissima sirena. Come da copione. Signora matura, sposa e madre. Ma quella luce negli occhi sempre viva, quel sorriso ora quasi di Gioconda. Mi ha salutato lei, in una sala d’attesa con tant’altra gente.

  – Mario, come stai?

  Un tuffo al cuore, come a ritrovare ancora i sedici anni. E gliel’ho detto, infine, nel breve ricordo di quei tempi. Come in un gioco di ragazzi che gioco restava per non sciupare nulla.

  – Ma lo sai che m’ero innamorato?

  – Davvero? – m’ha sorriso aperta. – Me lo potevi dire! Eri un così bel moretto…

  Che lì per lì ti mordi il labbro e pensi che po’ po’ di scemo, ma poi la vita t’ha insegnato che a volte sono gli amori non vissuti quelli più grati al ricordo d’antiche emozioni che poi non hai sciupato.

  Come poi la “civiltà” te l’ha sciupata, invece, quell’antica costa d’Antignano. Erosa dal mare in basso, adesso, e in alto mangiata dalle costruzioni. E segnata dagli amori consumati in auto, davanti all’orizzonte non per immalinconirsi al calar del sole e stringersi l’uno all’altra come a fermare quella luce dentro, ma per buttare giù, in terra fra i cespugli o sugli scogli sotto, il preservativo col risultato dello sfogo dentro.

  …E c’era Sirio, a quei tempi, ribattezzato Fischio per la valentìa nella sonorità del fiato espulso delle labbra, e c’era Trilli, il gabbianino ferito che Fischio aveva curato e ridato libero al cielo del suo mare. Ed ogni volta che un gabbiano passava di lì sopra, Sirio fischiava e lo chiamava: – Trilli!… Trilli! – come in un gioco di malinconia.

  …E c’erano le francesi, le due prime straniere arrivate un’estate a bagnarsi proprio lì, da noi. E ritornate poi l’estate dopo. A nuovamente professarsi parigine. E tutti a curarle e circuirle. Bruttine assai, ma roba d’altri mondi, a quei tempi, d’un mondo in cui già era straniero chi comunque non fosse di Livorno.

  …E c’era anche qualche poesia, a volte. Ne ricordo una, “Catarsi“, a rimare del mio lavacro di corpo di fuori e d‘anima di dentro, sotto  la pioggia davanti al ribollir del mare di libeccio. D’inverno, è chiaro. Quando allo Scoglione ci andavo a ritrovare un’inquietudine vitale.

  .. Ed altre spiagge, poi. Altri scogli, anzi. Ché per un livornese il mare è la scogliera. Come alla Cala del Leone, sotto il Sonnino, anche lì per stringersi d’amore nello scendere giù per il dirupo in due, a rubarsi abbracci e baci.

  …E qualche stabilimento balneare, a volte, sulla costa cittadina. Ma troppa gente, troppo chiasso, troppo spettegolar di sguardi a impedirti di respirar la vita.

  ..E gli ultimi scogli, infine. Quelli del Boccale, i primi sul Romito. Ad iniziarmi sul finire degli anni Settanta ai bagni invernali, a proseguirli per quasi trent’anni e a risentirmi vivo in altre conoscenze, amicizie care ed anche qualche amore. Di quelli forti ed esaltati, come succede quando a più di sessant’anni riscopri il turbamento di labbra di velluto e ti tuffi in mare e nuoti e nuoti come a celebrar la gloria d’una vita che ritorna e nello sfinirti il corpo t’esalta carne ed anima di dentro.

  E sai che è l’ultima, di vita. Cominciata sulla costa di Livorno, e nel respiro di mare seguitata.

Mario Cardinali

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