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Sulla vignetta di Charlie Hebdo

MARIO CARDINALI INTERVISTATO DA SPUTNIK ITALIA

Non deve piacere a tutti, è al di fuori delle regole e sopra le righe. La satira è critica e fa riflettere. Le vignette di Charlie Hebdo sui morti nel terremoto italiano, che indignano la rete da giorni, fanno davvero riflettere? È satira questa? La stessa definizione della satira è complessa, intangibile, è un genere impossibile da etichettare. La satira non può seguire le regole e va controcorrente, funziona al contrario dei luoghi comuni. Pungente, a volte macabra e cinica, la satira per essere satira però deve far riflettere. Non si capisce quale scopo voglia raggiungere e che cosa voglia criticare la vignetta sui morti italiani nel terremoto raffigurati come una lasagna col sangue al posto del sugo. Non è di certo la prima vignetta rivolta a dei morti, a sua volta toccò ad Aylan, il bambino profugo annegato, Charlie Hebdo fece una vignetta anche sulle vittime russe nell’aereo abbattuto dai terroristi sul Sinai. Emozioni a parte, la domanda centrale è sempre la stessa: dov’è il limite da non superare e soprattutto che cos’è veramente la satira? Sputnik Italia ne ha parlato con una persona che di satira se ne intende, Mario Cardinali, direttore del mensile satirico “Il Vernacoliere”.
Mario Cardinali, che cosa ne pensa della vignetta di Charlie Hebdo sul terremoto in Italia?
— Appena l’ho vista non ho notato tutta la critica sulla mafia che hanno per forza voluto vederci alcuni. Io ci ho visto un po’di spocchia sull’italianità della pasta, sui soliti italiani “maccaroni”, perciò hanno disegnato i morti al sugo, al ragù e morti come delle lasagne. È satira questa? Mi sembra satira senza scopo, rivolta a svillaneggiare gli italiani in quanto “spaghettari”. Io mi ricordo la vignetta che fece Der Spiegel nel ’97: si vedeva un piatto di spaghetti con la pistola sopra. Quella era veramente satira, un piatto di pasta e una pistola a simboleggiare la mafia. La vignetta sul terremoto non mi pare abbia alcuna nobiltà di critica antimafiosa.
— Sembra che con queste vignette si voglia far male piuttosto che far ridere, no?
— Quando si vuole fare per forza satira, si può cadere in certi eccessi, che io non chiamerei nemmeno così. Bisogna vedere che cosa si intende per satira. La satira è fatta anche di sarcasmo, paradosso, cinismo. Si può fare la satira su un paio di scarpe o su una politica, su dei bombardamenti sulla gente. Per me la satira è una particolare manifestazione critica dell’intelligenza. Io ci metto una buona dose di passione civile. Quella di Charlie Hebdo non credo che sia un attacco ai morti, che sono presi a pretesto per mettere l’accento sugli italiani “maccaroni”. È arrivata poi la giustificazione parlando della mafia. Noi la conosciamo benissimo la mafia, noi de “Il Vernacoliere” abbiamo fatto tante vignette sullo Stato-Mafia, lì non c’era niente di tutto ciò però.
— Il discorso sui morti però non è una novità. Charlie Hebdo fece vignette macabre sull’aereo russo precipitato sul Sinai e su Aylan, il bambino profugo annegato. Possiamo dire che hanno un filone macabro, dove prendono in giro i morti?
— Sì, ce l’hanno questo filone. La vignetta sul bambino annegato è un po’razzista, però raggiunge uno scopo, anche se io non la penso così, si allude nel disegno a che cosa accadrà al bambino se lo lasceranno crescere. La vignetta sull’aereo russo è rivolta ai bombardamenti russi, mentre quella con il teschio è effettivamente meno comprensibile, è satira fine a se stessa. Io ho citato sul mio profilo facebook in questo contesto che allora anche “Arbeit macht frei” seppure macabro può risultate satirico. Bisogna capire gli scopi, dov’è indirizzato il discorso satirico. Si possono fare critiche di contenuti o critiche così fine a se stesse. C’è da dire che il filone macabro satirico non è una novità. Può essere comprensibile la satira macabra nel contesto in cui ci sono i morti. Se si fa satira sui morti ed è fine a se stessa si sconfina in un altro campo e questo suscita reazioni di vario tipo.
— Dove sono i paletti che un vignettista si deve porre, qual è il limite da non superare?

— Il primo limite lo pone la legge. Se io diffamo qualcuno è un problema. Io qualche processo l’ho passato per satira, non sono mai stato condannato perché mi sono sempre giustamente difeso. Si potrebbero evocare i limiti del buon gusto, ma la satira non va d’accordo con il senso comune, va contro a ciò che è ufficiale, ufficioso e sacramentale. L’importante è sempre lo scopo. Se la satira fa riflettere è sempre valida, se è fatta fine a se stessa può essere inutile. Alla fine satirico può anche essere chi non vuole esserlo. Satiriche a volte sono le parole dei potenti basate sullo sfruttamento, sulla morte altrui. Satira può essere tutto. Per quanto riguarda me, la satira è anche un bisogno dell’anima oltre che della pancia, è il non stare nelle regole. Il senso è di dire: “a me non la racconti”. Per me la satira ha una motivazione liberatoria, libera l’intelligenza.

Tatiana Santi

Sputnik Italia
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