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Filosofia livornese
SESSO NATIVO

“Bella topina di nonna!”, esclamavano orgogliose le vecchie livornesi baciando il sesso delle neonate nipotine, in un augurale benvenuto al mondo. Alternando magari con “bella sorba di nonna!”, nella similitudine fra il piccolo morbido sesso delle bambine e la sorba, piccolo frutto rosato e rotondetto. Mentre ai maschietti prendevano talvolta il pipino in bocca, con un “bell’uccellone di nonna!” che da un lato esprimeva l’augurio di ridondanza fallica – la potenza sessuale come timbro del dominus –  e dall’altro si poneva come una fellatio ante litteram, in incoscio ricordo dell’antica iniziazione sessuale dei giovinetti per bocca delle anziane in uso fra le popolazioni del Nordafrica costiero e da quelle trasmesso alle nostre genti meridionali, donde poi approdato a Livorno con quanti dal meridione venivano anch’essi a popolare questa cosmopolita città da far west.

E tutto questo ricordai ai giudici che nel 1984 mi processarono – e mi assolsero – per una “Sovrimposta sulla topa” sparata su una locandina del Vernacoliere, a scandalo d’un colto ma sprovveduto pisano denunciante, spiegando all’attentissimo collegio quanto familiare fosse per i livornesi quella topa, nominalmente usata in intenti spesso affettuosi (non solo il “bella topina” delle nonne ma anche il “bella mi’ topa” del marito alla moglie – finché è giovane e prosperosa, naturalmente…), senza voglia di scandalizzar nessun e tanto meno di porsi come lemma osceno.

E tutto questo mi tornò di volata in mente, qualche anno fa, al vedere quanti “bell’uccello” e “bella topa” (per meno anche di babbo e di mamma e d’altri familiari in festa, non solo di nonne e nonni) spiccavano fra le dediche parentali ai nuovi nati sulle pareti di Maternità nel labronico ospedale.

A celebrazione e conferma, quelle dediche, dell’inscindibile rapporto fra sesso e vita nella filosofia dei livornesi, una filosofia eminentemente “corporea” ancorata in una visione gastro-ano-genitale che informa di sé mente e lingua della cosiddetta plebe, che a Livorno plebe non è ma popolo di nobiltà plebea. Con la sua visione essenziale dell’esistenza ridotta ai parametri fisiologici, di fisicità esistenziale, in cui il sesso parlato e praticato diviene scena totale, sottofondo e involucro del recitar la vita.

Mario Cardinali

 
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