di Mario Cardinali
Ed eccoci qui, ripiombati d’improvviso nell’incubo orrendo del 1962 con la crisi dei missili sovietici a Cuba, con gli Stati Uniti pronti all’apocalisse nucleare se le navi con quegli ordigni in navigazione verso l’isola di Fidel Castro non si fossero fermate. E si fermarono, infine, sull’orlo del baratro finale, quando già il mondo stava preparando i rifugi antiatomici, e in Italia s’allertavano le basi militari americane, depositi di bombe atomiche compresi.
E oggi non sappiamo chi e quando si fermerà, nel nuovo orrendo incubo d’una guerra nucleare. Che – e magari in TV ne parlano come fosse acqua da occhi – sarebbe la terza e ultima delle guerre mondiali. Con la Russia di Putin che ha invaso l’Ucraina per fermare – ci dicono gli esperti – l’avanzata sempre più minacciosa verso est della Nato occidentale, con i suoi missili sempre più piazzati ai confini russi, nei paesi dell’Europa orientale un tempo nell’area sovietica. In una riedizione della crisi di Cuba a parti rovesciate.
E noi nel mezzo, fra l’imperialismo in forma liberal-capitalistica da una parte e l’imperialismo in sostanza capitalistico-autocratica dall’altra, in attesa di sapere di quale imperialismo morire. Scomparire dalla faccia della terra, anzi. Insieme alla terra stessa. E loro, gli esperti e gli aspiranti tali, i nuovi tuttologi a frotte di cose belliche succeduti ai tuttologi a frotte di cose pandemiche, a ragionarne ormai come routine su tutti i giornali e su tutte le televisioni, molti col marchio in faccia di servizi segreti e di fabbriche d’armi (a proposito, le spese militari sono quasi raddoppiate), all’eterno ritornello del “se vuoi la pace prepara la guerra”.
Con la pace che poi ha da rimanere anch’essa il solito ritornello eterno. Non ci sarebbe altrimenti da aspettarsela come sempre, la guerra. Sulle cui armi da sempre proliferano domìni materiali e ideologici, si riempiono forzieri immensi e immensi cimiteri.
E se poi gli dici – se almeno te lo lascian dire, ed eccolo allora il vantaggio della democrazia – che quando un uomo accetta di mettersi un elmetto in capo e un fucile sulla spalla rinuncia alla sua umanità, dovendo comunque diventare un assassino all’ordine di sparare, ti rispondono sdegnati che uccidere per la patria è un dovere e financo sacro, altro che i vili discorsi disfattisti.
E menomale che il cuore umano (…)
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