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Con rispetto parlando 2

Chiacchierata tutta ammodino su alcune parolacce dell’idioma livornese. Che per parolacce non le tiene, ma per espressioni vivaddio sincere ed anche familiari d’un irriverente spiritaccio popolare poco incline agl’infingimenti quantunque letterari.

Il culo di Livorno

Sarà anche una parolaccia, ma a Livorno il culo è una cosa molto seria. Quasi fondativa d’un modo d’essere e di pensare. Scolpito in un proverbio: “Se ‘r mondo fosse un culo, Livorno sarebbe ‘r buo”. Ad orgogliosa ed essenziale sintesi di come un livornese concepisce il mondo e la posizione in esso occupata dalla sua città: al centro, così come il buco del culo sta nel preciso mezzo del culo stesso.

  Con un paragone d’ambito anale certo autosatirico ma in cui si realizza non solo uno dei caratteristici elementi della trilogia gastro-ano-genitale (mangiare, cacare, trombare) alla quale la mente e la lingua livornese (una vera e propria filosofia parlata, espressa in contenuti di fisicità essenziale e in termini perennemente e familiarmente riferiti all’ambito anatomico-sessuale) rapportano ogni dialettico confronto; ma si manifesta anche, in quel paragone, la sufficienza “culturale” con la quale i livornesi sono sempre andati in culo, per l’appunto, non solo a chi gli sta vicino (e, per ciò stesso, sui coglioni: massimamente i pisani ma spesso ce n’è pure per i lucchesi e per i fiorentini), ma anche a chiunque rappresenti un potere e principalmente un potere istituzionalmente padronale, di re o ministri o papi che si tratti. Senza disdegnare l’insofferenza anche per un sindaco che voglia regolare il traffico o per un vigile urbano col blocchetto in mano. Per quell’innata ostilità a regole e dettati che ha fatto spesso definire i livornesi come un popolaccio anarcoide e arrogante, mentre anarcoide lo era prima di diventar solo succube massa di manovra per elezioni e stadi, e l’arroganza l’ha ormai mandata anche quella in culo.

  E culo sia, dunque. Qui riassunto in alcuni di quegli usi verbali che a Livorno son linguaggio quotidiano. 

  Culo rotto: fortuna esagerata, ma se lo dici a qualche bella topa datasi anche alla politica non alludi solo alla buona stella che le ha fatto inopinatamente far carriera.  

  Che popò di ‘ulo!: che fortuna sfacciata!, ma anche galante complimento alla femmina incedente in roteanti e ben sode chiappe. 

  Avé’ culo: avere fortuna, come l’utente che fa un numero verde e qualcuno gli risponde per davvero.

  A culo ritto: andassene a culo ritto: tipica uscita di scena di chi se ne va con aria impermalita, come Brunetta quando non lo lasciano sovrastare neppure di parole. Si può anche andar via a culo storto, ma in tal caso prevale l’aria di risentito disaccordo, al tipico modo di D’Alema quando gli dici che ormai può solo adorarsi da se stesso. 

  A culo (culino) strinto: con timore, con diffidenza. Un po’ come il bambino che pur innocente sente in parrocchia il prete che gli alita sul collo.

  Andà’, mandà’ ‘n culo: andare, mandare a quel paese. Un modo di dire invero assai diffuso nelle italiche terre in generale, ciascuno nell’idioma proprio, ma come ti mandano in culo i livornesi in quel loro linguaggio di così sonora insistenza, non ce n’è altri al mondo.

   Avéllo ‘n culo: avere il nervoso, essere di cattivo umore (avé’ ‘r giramento), sentirsi poco bene. Decenza però vuole che quando sia il dottore a chiederti come stai, tu ti contenga in un eufemistico dé, l’ho ‘n cuffia! Avéllo ‘n culo come sonà a prèdia: averlo in culo alla grande, come alla grande suonano le campane quando chiamano alla predica.

  Avé’ quarcuno ‘n culo (sur culo): avere qualcuno di traverso, averlo sullo stomaco, non sopportarlo, disistimarlo. Dal che il proverbio t’avessi ‘n culo t’andrei a caà alla Meloria s’estende a concepire il malcapitato come uno stronzo (stronzolo a Livorno) da cacare il più lontano possibile, essendo la Meloria un fondale scoglioso a circa sette chilometri dalla costa livornese.

  Avé’ quarcuno ar culo: essere seguiti o pressati da qualcuno. Anche in senso figurato, nella tipica situazione del genero che hai voglia d’inventà scuse, la domenica ti ritrovi la suocera fissa fra i coglioni.  

  Da’ ‘r culo (per quarcosa): premesso il concetto di culo come bene massimo e massimamente conservando d’una persona, da’ ‘r culo significa appunto dare il massimo di sé, dare tutto il proprio bene per un qualche motivo. In tutti i sensi. Come tante mamme, che oltre a dare il culo al marito in un senso, lo devono dare anche ai figlioli in un altro.

   Da’, volé ‘r culo dentro ‘r foglio / incartato ner foglio: dare, volere il massimo della disponibilità propria o di qualcuno, come sarebbe l’offrire il sedere addirittura incartato a mo’ di regalo. Il concetto, più sarcastico che ironico, si esprime perlopiù in forma di domanda a chi troppo pretenda: vòle anche un po’ di ‘ulo ner foglio?, dice per esempio la contribuente all’agente di Equitalia che dopo aver tastato le sue possibilità economiche vorrebbe tastarle anche qualcos’altro. In ironica variazione, al posto del culo incartato ner foglio ci può essere un po’ di ‘ulo co’ pinoli.

  Fassi ‘r culo: impegnarsi al massimo, sgobbare come ciuchi. Faticoso impegno cui spesso consegue una sonora disillusione. Mi son fatto ‘r culo tutta la vita per ir Piccì – esclama il vecchio militante comunista –  e ora mi ritrovo a dové votà Piddì!

  Girà’ ‘r culo: fare dietrofront, andare via (piglià’ ‘r culo e andassene). Alla stregua di Bossi quando gli chiedevano se invece che da un cavolo, suo figlio Renzo fosse nato da una zucca o pur anche da un cetriolo.

  Levà di ‘ulo: levare di torno, eliminare. Ma anche: stupire, levare il fiato dalla bellezza: Quella fia leva di ‘ulo! Il riflessivo levassi di ‘ulo invita a togliersi dai piedi. Risuona spesso a Livorno come consiglio della pulzella al maturo ganimede che le ronza intorno: lèvati di ‘ulo, bellino, vai!  

  Mèttello / buttallo ‘n culo (a qualcuno): fregare, imbrogliare. Al passivo è pigliallo ‘n culo, tipica situazione dei cittadini senza conoscenze né raccomandazioni.

  Mette’ ‘r culo alla finestra: esporsi senza pudore, mettere in piazza i propri affari privati. Come accade alla moglie che alla finestra urla ar marito se rivai a gioà alle macchinette racconto a tutti che popò di becco sei!

  Mèttessi le mani ar culo: prepararsi alla botta, ripararsi da un pericolo. A protezione dell’ultimo bene, sempre quel benamato culo. Come nell’imminenza delle elezioni.

  Restà’ (ritrovassi) colle mani ar culo: non avere ottenuto niente, rimanere senza più niente, fregati, rovinati. Come dopo aver comprato qualcosa a una televendita di Renzi. 

  Pigliallo ‘n culo: rimanere fregati, restare sconfitti, fare da eterni capri espiatori. Com’è tipica riflessione dei poveracci: mettilo mettilo, chi lo piglia ‘n culo siamo sempre noi!

  Sta’ ar culo (di quarcuno): stare appiccicati, tallonare, non dare requie. Anche in invito calcistico, per esempio a un mediano: stanni ar culo a quer centravanti, troncani le gambe! 

  Sta’ sur culo: essere antipatici, insopportabili. Avete presente la Gelmini? E Brunetta? Ecco, proprio così.

  ‘Un sapé’ fa’ un o cor culo: non essere buoni a nulla, come il non saper neanche stampare una “o” col culo, che pure ha il buco tondo. Ma anche in tale condizione c’è chi è riuscito a farsi assumere in Comune. O in Provincia, pure.

  E chiudiamo col classico buo di ‘ulo (budiùlo), italiano buco di culo, di cui s’è già ragionato il mese scorso ma valga comunque ricordando che trattasi di epiteto largamente usato sia per indicare donna che si concede facilmente, sia per definire un uomo che si comporti in modo poco commendevole. Può anche avere una valenza solo apparentemente offensiva e invece affettuosamente familiare: Vieni, budiùlo! A casa tutti bene? 

I PROVERBI DEL CULO

Il diffusissimo uso del culo nel modo di pensare e di parlare livornese è anche testimoniato da una nutrita sfilza di proverbi. 

  Oltre ai citati se ‘r mondo fosse un culo Livorno sarebbe ‘r buo, e t’avessi ‘n culo t’andrei a caà alla Meloria, ecco ad esempio né pe’ scherzo né pe’ bburla, attorno ar culo ‘un ci voglio nulla. Amà e ‘un esse’ riamato è come pulissi ‘r culo senz’avé caàto. Bada a ‘un fa’ come Sanlorenzo, che lo pigliava ‘n culo e faceva silenzio. Chi piscia chiaro va ‘n culo ar mèdio. Chi s’acchina mostra ‘r culo. Finché bocca prende e culo rende, si va ‘n culo alle medicine e chi le vende. O cosa c’entra ‘r culo ‘olle varant’ore. ‘R culo vor vedé l’omo ‘n faccia. S’ha ‘n culo come sonà a prèdia. Tromba di ‘ulo, sanità di ‘orpo. Quando ‘r culo è avvezzo ar peto, ‘un istà un menuto ‘eto. Viso farinoso, culo merdoso.

  E ora basta. Sennò poi, a forza di ragionà di ‘ulo, va a finì ci puzza ‘r fiato!

Mario Cardinali

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