L’editoriale
di Mario Cardinali
E sempre più soffia il vento bellicista, in quest’aria sempre più impregnata di fetori d’armi e di riarmi. E di paure d’attacchi e d’invasioni, sempre più inculcate anch’esse. Come me ne scrive un lettore, Nicola Brugola.
Caro direttore, premetto che fino a pochi anni fa ritenevo che il Costa Rica fosse il paese ideale avendo abolito l’esercito.
Nel precedente numero del Vernacoliere si parla del riarmo dell’Europa, si sostiene che sia meglio spendere i soldi destinati per il riarmo per altri scopi tipo sanità, lavoro.
E come non essere d’accordo! Però se l’Europa venisse attaccata, cosa si dovrebbe fare? È un’eventualità remota? Polonia e i paesi nordici pensano di no.
La diplomazia è essenziale, ma si deve essere in due a voler dialogare. Se una parte non è disposta a discutere ma spara, che si fa? Accettiamo d’essere invasi? Siamo disposti a perdere la nostra libertà?
Ecco, questa possibilità mi sembra che venga sottovalutata.
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Il ricatto della paura. È così che si son sempre perpetuate le guerre. È così che si vuol fare anc’oggi con la paura d’un “possibile” attacco russo all’Europa. Paura tanto più sbandierata su stampa e televisione nel quotidiano ammaestramento di popolo e paese, quanto più son colossali gl’interessi in ballo, quelli dei produttori d’armi in primo luogo. Con tutto l’avido mondo capitalistico finanziario che ci ruota intorno con le sue Borse ed i suoi Fondi, a sollecitare sempre nuove occasioni per nuove produzioni d’armi per nuovi incalcolabili profitti. Con un sacco di gente di suadente favella scritta e orale al soldo, dai giornalisti pudicamente definiti embedded ai politici à la carte, pecunia non olet, anzi ce ne fosse di quell’odor di polvere da sparo come si diceva tanto tempo fa, di polvere atomica come s’usa dire oggi ma senza farsi sentir troppo, meglio non spaventarla anzitempo la gente, prima incassiamo e poi se ne ragiona.
E la difesa della civiltà, e la patria in pericolo, e le chiese profanate e perché no, di nuovo l’eco del barbaro scalpitar di cavalli cosacchi in piazza san Pietro. Altro che sanità e lavoro da buttarci via i miliardi da destinare invece, sacrosantamente, a salvare la nostra civiltà in armi, la nostra libertà in obblighi di obbligate spese militari.
E qualche imbelle pacifista vorrebbe magari, e intanto, cominciare a ritirar fuori un po’ d’obiezione di coscienza ai giovani in età di servizio militare obbligatorio – di questo passo prossimo a tornare –, un po’ di non violenza da insegnare ai ragazzi già da bimbi, un doposcuola di coscienza civile per una civiltà di convivenza.
Fino al sogno libertario d’un popolo – dei popoli – che oltre alla schiava dipendenza dai bisogni materiali rifiuti infine anche la “necessità” dei bisogni “spirituali” dettati e imposti da chi si proclama padrone dei nostri corpi e delle nostre menti, e le forgia a perpetuazione del suo dominio. Civile e militare, economico e spirituale. Religioso, in una parola sola, religiosa essendo divenuta la necessità d’essere e pensare come vogliono gli autoproclamati padroni dell’umanità.
Ma diciamoglielo, agl’imbelli pacifisti di cotanto sogno, che ora è tempo d’armi per davvero, altro che ritirar fuor antiche ideologie d’inetta accettazione della “possibilità” di venir invasi.
Sennò gli eserciti cosa ci stanno a fare? E cosa ci sta a fare chi ne benedice uomini e armamenti? Neppure un Papa nuovo si sognerebbe di maledire armi e armati, e figuriamoci se possa arrogarsi il diritto di solo pensarlo il semplice cittadino, fedele o no che sia. Quando patria chiama, pronti s’ha da essere al fuoco della pugna.
Oddìo, pugna. Stavolta c’è la fine nucleare, a poterci dare fuoco a tutti.