di Mario Cardinali
E dopo l’immediato, clamoroso successo della nostra richiesta “sentitamente urgente” di cinquemila nuovi abbonamenti per aiutare la sopravvivenza del Vernacoliere (abbonamenti chiesti a novembre e già arrivati a circa quattromilacinquecento a fine dicembre), dopo la vasta eco di quel nostro appello su giornali, televisioni, radio e siti di un po’ tutta Italia, dopo la commovente (sì, anche commovente) solidarietà di tanta gente – e qualcuno dall’estero addirittura – dopo tutto questo ci dobbiamo però anche vergognare.
Non per noi. Per le Poste. Le italiche Poste. Che non si vergognano, loro, di continuare a recapitare il Vernacoliere agli abbonati con insopportabili ritardi. Da dieci a venti giorni abitualmente, a volte anche un mese dopo la spedizione. Da tempo immemorabile.
Son quasi sessant’anni che ci combattiamo, con le italiche Poste, per quei rovinosi ritardi. Già disastrosi quando il servizio postale era in mano a un elefantiaco ministero apposta, e disastrosi rimasti anche da quando nel 1998 il servizio è passato a Poste italiane spa (di cui circa il 60% controllato dal Ministero dell’Economia e Finanze), tutto divenendo (banca e negozio finanziario in particolare) tranne che decente esecutore del compito in teoria primario: il recapito postale, appunto. Quello dei periodici specialmente, e del nostro mensile in particolare. Per il quale abbiamo protestato per decenni. Con qualche miglioramento via via – venne perfino un ispettore da Roma, tanti anni fa – ma poi tutto è sempre tornato come prima ed anche peggio, tanto che ci abbiamo perso migliaia d’abbonati, nel tempo, e quelli rimasti sono perlopiù i rassegnati. Come rassegnati a un certo punto siamo divenuti anche noi, riducendoci a rispedire le copie del Vernacoliere oggetto dei continui reclami degli abbonati a mani vuote. Quelli in Italia. Mentre le copie per l’estero anche più lontano arrivano quasi sempre prima: varcato il confine, i tempi di consegna ritornano pressoché normali.
Finché oggi eccoci a dover protestare anche pubblicamente, oggi che fra quei quasi cinquemila nuovi abbonati in solidale risposta al nostro appello, già in massa ci hanno scritto (abbiamo in serbo le loro email e i loro messaggi su Facebook) per segnalare preoccupati e delusi il mancato arrivo del primo Vernacoliere loro destinato, quello di dicembre. Da noi spedito il 4 di quel mese, e sempre alla fine di quel mese non arrivato ancora. E noi a spiegare che non è colpa nostra, queste son le Poste italiane, purtroppo. E magari ci scusiamo e ci vergognamo noi per loro.
Qualcuno capisce e si rassegna sperando che il poi possa andare meglio, altri si sdegnano per aver già visto da parecchi giorni a giro quel Vernacoliere e loro ancora nisba, e qualcun altro s’incazza e ce lo dice chiaro: “Ma ci pigliate per il culo?!”
E noi, gonfi di rabbia impotente, eccoci qui a gridarlo che non siamo noi a pigliarli in giro, quegli abbonati nuovi e non ancora abituati agli usi delle nostre Poste.
Ché quando la misura è colma, quando si lanciano appelli quasi disperati e la risposta commovente ed immediata e stupefacente arriva e poi tutto rischia di risultare vano e finanche grottesco per l’incuria o la disorganizzazione tanto tipica dell’italico andazzo, allora lo sdegno non te lo puoi più tenere dentro.
Anche se sai che ti stai dando la famosa zappa sui famosi piedi, in codesto modo. Scoraggiando chi magari si vorrebbe ancora abbonare, e te ti scusa ma le Poste lui le può mandare per davvero in culo. In culo così mandandoci anche te. Come farà chi l’abbonamento poi col cavolo che lo rinnoverà.
P.S. – Nuovo art. 21 Costituzione: “ Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Se si tratta del Vernacoliere, chiedere alla Poste.”